mercoledì 28 marzo 2012

PER LA PICCOLA CREATURA

Finalmente la primavera è arrivata, la natura si risveglia e lentamente inizia a vivere, che meraviglia, mi mette di buon umore! ^^
Sto realizzando una copertina ad uncinetto commissionatami da mia sorella, con delle classiche matttonelline, sarà per il mio futuro nipotino o nipotina, ancora non si sa il sesso, eheh è per questo che abbiamo scelto dei colori neutri...sono contentissima.



Nel frattempo sto continuando a lavorare la mia sciarpetta ai ferri, sta venedo un amore *_*



giovedì 15 marzo 2012

SPERIMENTANDO

Poco tempo fa ho comprato della lana mondial merino plus bianca per realizzare una sciarpa e finalmente l'altro giorno io ed una mia cara amica l'abbiamo colorata con i colori alimentari, devo dire che è venuta bene mi piace davvero tantissimo ^_^ ecco le foto




Dopo essersi asciugate ed averle finalmente avvolte tutte, ho cominciato a lavorla ai ferri, sta venendo proprio carina! :)



lunedì 6 febbraio 2012

FILATI

Che meraviglia, non vedo l'ora di poter prendere questi gomitoli di lana, hanno dei colori splendidi!




lunedì 16 gennaio 2012

NEVE

Dea Madre, candida neve





Ho scattato queste foto mentre ero sull'etna, 
è stato bellissimo passeggiare sulla neve in mezzo ai boschi,
ho notato che c'erano in giro piccole orme di creature del bosco :)
E' meraviglioso, un ambiente davvero magico e silenzioso..un incanto..

giovedì 5 gennaio 2012

ANCIENT MOTHER

L'UOMO VERDE E L'UOMO SBIADITO

L'uomo verde un giorno disse all'uomo sbiadito, ti vedo giorno dopo giorno inesorabilmente sbiadire, non fai più quello che ti piaceva fare, non vai più a pescare, non cucini più sul fuoco, non pratichi più nessuna arte antica, nemmeno quella della spada, stai perdendo tutte le tue più sincere amicizie, quelle più fedeli, quelle più semplici.

Il tuo rapporto con la donna è diventato ipocrisia e possessione, tu fai ciò che dice lei, ti muovi quando lo dice lei, agisci in funzione di lei, semplicemente perchè così senti di poterla controllare. La verità è che in realtà non la controllerai mai.

Stai diventando debole e insicuro, perdendo la tua identità, stai diventando amico dell'uomo grigio, e non c'è amicizia peggiore, ti assorda con le sue inutilità, ti distrae da quelle che invece per te sarebbero le cose più importanti, lui divora il tuo tempo, e tu ti fai divorare da lui, ti acceca con lo scintillio dell'oro e del denaro, ti incita al potere, e al più squallido divertimento, ti sussurra all'orecchio finti segreti, a cui credi ingenuamente.

Tu forse non lo immagini, ma egli ferocemente ti invidia, lui cerca di confonderti brandendo davanti a te, soldi, potere, successo, come se fossero le cose più preziose al mondo, ma egli sa che tutto ciò è nulla, ed è ben misera cosa in confronto a tutto quello che potresti avere tu.

Che è una ricchezza vera, imperitura, e molto superiore a quelle false e transitorie, a cui vorrebbe farti credere lui.

Lui vuole quello che hai tu, ma sa che non lo potrà mai avere, e siccome non potrà mai avere quello che potresti avere tu, non gli resta che togliertelo. Rendendoti così simile a lui, un altrettanto grigio triste, uomo solo. Ecco il suo obbiettivo, il suo scopo, nessun altro.

Non importa se avete lo stesso sangue, se egli è tuo fratello, se è il tuo migliore amico, se la terra vi accomuna, non farti incantare, in realtà sarà colui che ti recherà il danno peggiore, quello irreparabile.

Tutto ciò è inammissibile, fin che sei in tempo ferma questo scempio ! Smettila di farti crogiolare, nel lusso, nelle cose inutili, non c'è alcuna gloria in esse, non c'è niente di niente, solo miseria, vuotezza, e avidità, c'è grigiore, e noia, e una fame che ti divorerà dall'interno.

Poiché affamerai te stesso, inseguendo la vacuità delle cose, perdendo invece ciò che il tuo (ben) essere abbisogna, e sarà una fame atroce, una voragine bruciante e insaziabile senza fine, i soldi non basteranno mai, il lusso non sarà mai sufficiente, la pancia non sarà mai piena, il divertimento mai abbastanza divertente, dimenticherai cosa vuol dire essere contento, assaporerai invece ogni giorno il gusto amaro e silenzioso dell'infelicità , a cui farai ben presto l'abitudine non sentendone più il fetido sapore.

Non avrai più un colore, non più un identità, non più una forza, sarai un altro uomo grigio in mezzo a tanti altri uomini grigi, avvolti da un tetro grigiore, e sul tuo petto , di modo tale che altri uomini ,ancora colorati, vedano cosa eri e cosa sei diventato, una targa che dirà “ quest'uomo è un miserabile “.

Preso da : www.tempiodellaninfa.net

PROFUMI

Tra i profumi d'incenso..
...e l'ondeggiare delle fiamme delle candele..
..attraverso il mondo magico..
...noto solo a chi può sentire la Dea madre...

)O( CERRIDWEN )O(



Rappresenta una delle più antiche divinità del mondo celtico ed è conosciuta come Dea del grano, della natura, delle erbe, della magia e dell’ispirazione sacra.
Altre varianti del suo nome sono CARIDWEN, KERIDWEN, KYRRIDWEEN, CERRIDWEN.. ma il suo nome, comunque, deriva dalla radice KER (porta o città) e DOUE (Dio) quindi rappresenta la porta verso Dio.
Alcune tradizioni magiche la identificano come la Madre saggia, la druida, la strega associata al volto calante della luna, mentre altre tradizioni vedano nella sua figura tutte e tre le manifestazioni lunari delle divinità femminili: fanciulla, madre e anziana.
Il suo mito la vede legata ai cicli continui della morte e della rinascita, necessari per ottenere la sapienza e la conoscenza. Il suo strumento, il calderone, diviene il ricettacolo del suo potere di donare saggezza e ispirazione a coloro che la invocano e bevono dal suo calderone, che essendo connesso con i quattro elementi della creazione.

ACQUA

L’acqua ha sempre avuto una posizione “d’inizio”,
la Grande Madre, da cui trae origine ogni
principio vitale: la vita sul pianeta ha inizio
dall’acqua, nel liquido amniotico si muove il
seme dell’uomo; l’acqua è elemento carico di
significati cosmici, simbolici, mitici.
I significati simbolici dell’acqua sono
principalmente: sorgente di vita, mezzo di
purificazione, centro di rigenerazione.



DANZA DELLA DEA


 La Danza della Dea è una pratica che nasce nella seconda metà del XX° secolo negli Stati Uniti d’America e si diffonde in tutto il mondo. Connota l’aspetto universale e arcaico della Danza del Ventre e trova radici negli antichi rituali che le donne danzavano per celebrare il mistero della vita, della forza e della bellezza. Queste donne vedevano in loro stesse l’immagine della Grande Madre Dea, la creatrice. La tradizione danzata della Dea rappresentava un’affermazione della vita, del suo inesauribile ciclo incentrato sul fecondità, nascita, morte e rinascita. E’ la Danza a servizio del Sacro Femminino.
La Dea è la parte saggia, ancestrale e divina che è dentro di te.
Nei gesti della Danza del Ventre è celato un antico linguaggio, volto a mettere in comunicazione la donna con la sua energia vitale di guarigione e saggezza. 

Articolo preso da:

www.danzadelladea.it
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  “Ecate, Madre della Luna Nuova,
la Saggia e la Fanciulla che conosce le vie segrete
Io ricevo i doni in gioia e solennità.
Ne farò sempre tesoro
Sempre ne ricorderò gli insegnamenti.
Molte grazie e benedizioni.”
)O(

LA PROSTITUZIONE SACRA NELLA TERRA DELL'AMORE

Erice: il castello di VenereC’è una Sicilia segreta e misteriosa, fatta di tradizioni e di costumanze che si perdono nella notte dei tempi; una Sicilia mitica e leggendaria, i cui protagonisti balenano ora in un rito che ha sfidato i secoli, ora in un relitto che l’archeologia ha riportato alla luce, ora in una favola che uno scrittore antico ha raccolto.
È la Sicilia prospera e geniale di sempre, accesa dal sole e fecondata dal mare, luogo di incontro dei popoli più diversi, creatrice inesauribile d’arte e di civiltà. Attraverso questa terra, attraverso le testimonianze millenarie dei suoi splendori, si può compiere un viaggio affascinante, che solo in parte coincide con gli itinerari del comune turismo: perché il turismo guarda le bellezze estrinseche, mentre di rado conosce quelle celate nei cuori degli uomini o nelle viscere del suolo. Ma s’intende che i luoghi più suggestivi sono anche quelli in cui più antico fu il concentrarsi della vita, più ricco e intenso il dispiegarsi delle tradizioni e delle leggende; sicché in ultima analisi il nostro viaggio non deluderà neppure il comune turista, ed anzi costituirà per lui la rivelazione di itinerari che invano cercherebbe nelle guide usuali.
Tanto per rimanere nel regno della fantasia, seguiamo il cammino dell’eroe Ercole che secondo una suggestiva leggenda, giunto allo stretto che separa la penisola italiana dalla Sicilia, lo attraversò a nuoto con la sua mandria di buoi, tenendosi stretto alle corna di uno di essi. Quindi, con la velocità che solo le leggende consentono, costeggiò l’isola lungo le sue rive settentrionali, puntando verso l’estremo occidente. Per ristorarlo da così immensa fatica, le Ninfe benevole fecero sgorgare dalla terra due fonti d’acqua calda, presso Imera e presso Segesta. Ma né l’uno né l’altro luogo vide sostare l’eroe, la cui meta era il picco montano di Erice, in vista delle isole Egadi.
Erice: Pozzo di VenereOggi, ad Erice, noi giungiamo piuttosto da Trapani, che giace ai suoi piedi stendendosi in forma di falce verso il mare. La montagna, alta quasi ottocento metri, le sta a ridosso, tanto più imponente quanto più è isolata nella pianura circonvicina. Torna alla mente la descrizione che ne diede un geografo arabo: «Presso l’istmo di Trapani si leva una montagna grande, assai distesa ed alta. I Cristiani occupano un picco unito alla montagna da un ponte e posseggono una città considerevole sulla montagna stessa. Si dice che le donne di questo paese siano le più belle dell’Isola. Che Dio le faccia diventare schiave dei Musulmani!».
Trapani, coi suoi grattacieli, è un segno vivente del moderno sviluppo della Sicilia. E forse ancor più per questo è suggestivo il contrasto con la campagna che la circonda, e che percorriamo in auto dirigendoci verso l’altura. Ampie lagune si diffondono tra i campi, cumuli di saline si levano qua e là; e le une e gli altri scintillano al sole estivo, diffondendo all’intorno una luce rarefatta che agevola il distacco dalla realtà e l’immersione nella leggenda. Poi è salita ripida, a tornanti, lungo la via che s’apre nella roccia rosea, tra cespugli gialli di ginestre. Ampie pinete chiazzano di scuro il monte, eleganti ville lo punteggiano di vividi colori.
Appena s’entra in Erice, la vita sembra sostare. Lungo le vie selciate a singolari riquadri, nei quali l’acciottolato si dispone come in elegante mosaico, tra i muri di pietre a secco che segnano le pareti ininterrotte delle case, non c’è anima viva, non si vede né s’ode persona alcuna. Occorre sostare a lungo per comprendere il segreto di questa città del silenzio: la sua vita si espande nei cortiletti, separati dalle strade a mezzo di muri senza aperture. Ma quale differenza tra l’esterno e l’interno! Là il grigio chiaro e monotono delle pietre, solo interrotto da rade chiazze di muschio; qui il rosso e il giallo e il verde dei fiori lussureggianti, che si diffondono tra gli alberi più ricchi e vari.
Nino Fici Li Bassi: il sonetto a Venere ericina in una lapide del Balio Ora possiamo tornare alla leggenda. L’epica lotta che Ercole condusse contro il re del luogo (il primo ponendo in palio i buoi, il secondo il regno) si concluse naturalmente con la vittoria dell’eroe, il quale affidò la città agli abitanti in attesa che venisse a governarla qualcuno della sua stirpe. Chiara trasposizione, nel mito, del preannunzio del dominio greco… Ma a noi interessa piuttosto quel re valoroso e sfortunato, che la leggenda chiama proprio Erice e del quale fa dunque il progenitore del luogo. Di più: Erice viene detto figlio di Afrodite, la dea dell’amore. E così la leggenda spiega, a suo modo, il fatto che questa dea appunto fu la vera sovrana della città, oggetto di un culto che mutò nomi ma non mutò sostanza, sfidando e vincendo il passare dei secoli.
Afrodite dei Greci, Tanit dei Cartaginesi, Venere dei Romani: la rugiada, si narra, cancellava al mattino le tracce dei sacrifici che alla sera si compivano, all’aperto, nel suo luogo sacro; ed ogni anno un volo di colombe recava sull’antistante costa africana il segno di un rito sovranamente mediterraneo, tornando poi indietro a significarne la reciprocità. Infine, più di un autore afferma che si praticava la prostituzione sacra: anch’essa segno inconfondibile del culto che in antico si rese alla dea dell’amore.
Ora interviene la leggenda più importante dell’antica Roma, quella del viaggio di Enea e della fondazione della città eterna.
In Sicilia, canta Virgilio, venne a mancare il vecchio padre dell’eroe, Anchise; e fu sepolto proprio sul monte di Erice, dove si svolsero cerimonie grandiose in suo onore. V’è forse un caso fortuito in questo collegamento? O non è vero piuttosto che Enea, figlio di Venere, doveva pur sostare nel celebre santuario della dea tanto più in quanto gli abitanti del luogo si ritenevano anch’essi di provenienza troiana? Così accade che Enea fondi sul monte, per la divina madre, «una sede vicina alle stelle»; e che il culto si diffonda in Roma, dove a Venere Ericina vengono dedicati un tempio sul Campidoglio e poi un altro presso la Porta Collina.
Cosa resta, oggi, di Erice antica? Sulle pendici nord-occidentali del monte, tratti imponenti di mura, dalle quali sporgono grandi torrioni, risalgono certamente a prima dell’età cristiana: ne fanno fede alcune lettere puniche incise sulle pietre. Quanto al celebre santuario della dea, poi rifatto in epoca romana, poi trasformato in chiesa, restano oggi sulla vetta del monte, nell’area del Castello che domina l’abitato, le fondazioni di un edificio punico ed un pozzo, finora detto di Venere, nel quale i turisti si recano a gettare le monetine come nella fontana di Trevi: sarà per augurarsi il ritorno o per propiziarsi l’amore? Alcuni anelli d’oro e d’argento, sempre con la immagine di Venere, sono quanto rimane della leggendaria ricchezza del luogo sacro. Gli scavi compiuti in passato, e che dovranno essere dopo lunga pausa ripresi, indicano la presenza ad Erice di un notevole insediamento punico, confermando i dati già offerti dalle lettere incise sui blocchi di pietra delle fortificazioni; suggeriscono che nella fase antica di tale insediamento fosse attivo l’influsso dei più remoti e fecondi centri della civiltà mediterranea; mostrano che l’occupazione si protrasse per alcuni secoli, confermando le notizie storiche sul permanere dei Cartaginesi ad Erice fino alla conquista romana. Così, l’archeologia illumina i racconti degli antichi scrittori, rivelando la complessità delle credenze e dei riti di queste terre.
Nel che i lettori, se credono, potranno ravvisare un motivo in più per venire da queste parti. Ma, anche se non si interessano di cose antiche, vengano lo stesso a vedere le feste dell’«Estate ericina», le processioni allegoriche, i concorsi di bellezza (sempre Venere, dunque!). E se poi neppure questo li interessasse, provino almeno la cucina locale, le ricette elaborate per secoli nel segreto dei monasteri, ed in particolare quel cuscus di origine africana che ricorderà loro (anche questa è una via per la diffusione della scienza) i secolari rapporti con le civiltà dell’opposta sponda mediterranea.

LA DEA ARTEMIDE

Vestita in una corta tunica, armata di un arco d'argento, una faretra colma di frecce sulla spalla, vagava per i boschi con il suo stuolo di ninfe ed i suoi cani. Veniva associata a molti animali selvatici, simboli delle sue qualità. Il cervo, la daina, la lepre, la quaglia per la loro natura sfuggente. La leonessa per la sua regalità e l'orso feroce per il suo aspetto distruttivo. L'orso era anche degno simbolo del suo ruolo di protettrice dei piccoli. Era anche associata al cavallo selvatico, libero come lei. Quale dea della luna viene rappresentata con in mano una torcia e con il capo circondato dalla luna e le stelle.



Artemide, la sorellanza e la natura

Quale Dea della caccia e della Luna, Artemide è la personificazione dello spirito femminile indipendente. Ella rientra nella categoria delle Dee vergini e a differenza di altre, non fu mai rapita o abusata e rappresenta un senso di integrità, di completezza, il cui valore non dipende da "con chi" essa sta, ma da ciò che essa è e sa fare.
La sua abilità di arciera fa di lei l'archetipo di un femminile che si pone un'obbiettivo e senza indugi lo raggiunge, dunque rappresenta la capacità di realizzare i propri progetti, una volta messi a fuoco.
Per quanto competitiva, Artemide non vede nelle altre donne delle rivali, bensì delle sorelle. Infatti corre per i luoghi selvaggi sempre accompagnata dalle sue ninfe, divinità minori dei boschi, delle montagne e dei ruscelli. Per altro si arrabbia tantissimo e si attiva per difendere le altre donne, quando queste sono in pericolo. Si tratta dunque di un femminile che prova un senso di solidarietà con le altre donne, la cui compagnia considera irrinunciabile e i cui diritti difende a spada tratta. Per questa ragione è stata presa a modello da molti movimenti femministi.
Nei confronti degli uomini ha un atteggiamento cameratesco, ma senz'altro non cade preda di innamoramenti e fascinazioni. Il gemello Apollo, dio del sole, può essere visto come la sua controparte maschile: lui il sole, lei la luna.
Il suo amore per la natura selvaggia, per i luoghi incontaminati e gli animali liberi fanno di lei anche un modello di donna ecologista, impegnata nella lotta per la salvaguardia dell'ambiente.
Artemide non si realizza nella maternità, e rappresenta un genere femminile che "si basta" e che trova la sua soddisfazione nell'essere pienamente sè stessa, nel lottare per ciò in cui crede e nel contatto con la natura che rappresenta la parte più selvaggia di noi.
Tuttavia, avendo aiutato la madre a mettere il mondo suo fratello, è considerata Dea del parto e protettrice delle partorienti, che la chiamano in suo aiuto nel momento del bisogno.
Viene infatti rappresentata come dea dalle cento mammelle, come si vede in questa rappresentazione dell'Artemide Efesia.

Così come ce la mostra l'arte occidentale, Artemide è la vergine dea lunare che vaga per boschi e foreste acccompagnata dal suo corteo di ninfe, armata di arco e faretra, evitando gli uomini e uccidendo qualsiasi uomo che abbia osato guardarla. Ma questa versione a noi familiare non è che una delle tante identità assunte da questa complessa dea greca: essa era infatti anche l'Artemide di Efeso dalle molte mammelle, un simbolo semi-umano della fecondità e l'Artemide guerriera, ritenuta protettrice delle amazzoni. E' problematico comprendere se Artemide sia stata in origine una dea omnicomprensiva, scissasi in seguito in due identità distinte, o se invece abbia acquisito una natura così complessa assorbendo gli attributti che in precedenza contraddistinguevano le dee minori, allorchè i suoi fedeli ebbero in mano il dominio della grecia.

Comunque stiano le cose, Artemide, come Iside o Ishtar, finì per rappresentare le mutevoli energie femminili. Da qui nasce la sua contradditorietà: essa era vergine dedita alla promisquità sessuale; era la cacciatrice che proteggeva gli animali; era un'albero, un'orsa, la luna. Artemide era l'immagine della donna, che, attraversando la propria vita, assume via via ruoli diversi; era un vero e proprio compendio delle potenzialità femminili.

In uno dei suoi aspetti Artemide era una ninfa e governava su tutte le ninfe, una forza elementare il cui regno erano iboschi, nei quali vige un ordine tanto diverso da quello umano da apparire a noi come informe e libero; ma questa libertà è quella della completa obbedienza all'istinto, che gli animali possiedono ancora, a differenza degli esseri umani.
Sotto questo aspetto Artemide era la 'Signora della Selvaggina', la forza dell'istinto che assicura, attraverso la morte degli individui, la sopravvivenza della specie.
Come Signora degli animali, era per i Greci l'invisibile guardiano degli animali selvatici, colei che uccideva con le sue frecce acuminate chiunque desse la caccia a bestie gravide o a cuccioli. Un altro istinto su cui vegliava era quello della riproduzione, nelle sue manifestazioni del sesso e del parto; essa seguitò a essere la protettrice delle partorienti anche nella leggenda più tarda; quando la sua importanza come dea era ormai oscurata da quella degli dei maschi, il mito descriveva ancora Artemide come la gemella (nata prima) del sole (che in origine non era considerato suo fratello), la quale avrebbe fatto da levatrice durante la nascita di quest'ultimo. Artemide era la forza della creazione, colei che le madri greche invocavano quando le doglie del parto avevano inizio, trovando un sollievo nella credenza che essa le assistesse durante il travaglio così come faceva per qualsiasi femmina animale in procinto di partorire.

L'aspetto di ninfa dei boschi, dopotutto, non differisce poi molto da quello più noto della Madre Artemide, il cui grandioso tempio nella città di Efeso, legata al ricordo delle Amazzoni, era una delle meraviglie del mondo antico. Lì si ergeva la sua famosa statua massiccia, costituita da un possente busto privo di gambe da cui pendeva un gran numero di mammelle, sovrastato da una testa che reggeva la corona turrita della città. Questa Artemide era soltanto una visualizzazione diversa della stessa energia rappresentata dalla ninfa boschiva: l'istinto vitale, che spinge a produrre e riprodurre in continuazione, a divorare e a morire. Vi è una forza nell'immagine di Artemide Efesia che potrebbe anche venir percepita come terrificante, tanto appare immane e disumana.


Dea più adorata della Grecia, Artemide era onorata con rituali molto popolari, anche se vari, così come vari erano gli aspettti della dea stessa. A Efeso, nel suo ricco tempio, Artemide era servita da sacerdotesse caste, che prendevano il nome di Melisse, o api, e da sacerdoti eunuchi. A Sparta era Korythalia, venerata con danze orgiastiche. Le Amazzoni adoravano la madre della guerra, Astateia, con una danza circolare durante la quale percuotevano gli scudi e battevano il suolo con i piedi ricoperti da calzari atti alla guerra. Sembra, però, che le feste più popolari in onore di Artemide fossero quelle celebrate durante le notti di luna piena, in cui i fedeli si radunavano nel bosco sacro alla dea e si abbandonavano al suo potere, facendo baldoria e accoppiandosi senza conoscersi. La dea preferita della Grecia era dunque la personificazione della legge naturale, una legge così diversa da quelle della società, tanto più antica, forse destinata a durare eternamente.

TOR



A Celebration of the Mysteries of Cygnus
and the Goddess Brigit.

TRIPLE GODDESS

 
)O( Mother )O(
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Un saluto a tutte le persone che seguono il mio Blog!
Grazie per i vostri commenti..

BLODEUWEDD

La Realizzazione del Sé
Nel Ciclo di Guarigione di Avalon Blodeuwedd è la Guardiana della Stazione della Riemersione.
La sua lezione è la riconquista del vero sé.
Quando si lavora con Lei, Blodeuwedd ci domanda: CHI SEI?

Da Lei si ottengono chiarezza e sapienza, ed è tutto sommato abbastanza semplice connettersi con questa dea tramite una buona meditazione, aiutandosi anche con i suoi fiori.
E’ la Signora della Stazione di Beltane, ovvero un passaggio temporale, come l’alba, che poi è, nel micro ciclo della giornata, il suo momento.
La si onora con un’essenza tratta dai suoi nove fiori (Bardana, Regina dei prati, Primula, Fiore di fagiolo bianco, Biancospino, Ginestra, Ippocastano, Quercia, Ortica):

"Un bianco bocciolo di fagiolo, poichè è sacro alla Dea,
e noi dobbiamo cercare la sua benedizione in questa Creazione.
Un giallo bocciolo di Ginestra per purificare e proteggere.
Un nocciolo color porpora di Bardana per allontanare gli spiriti malvagi.
Fiorellini gialli della Regina dei Prati, per una natura gentile ed amorosa.
La primula per attirare l’amore.
Ortica per accrescere il desiderio di lui e la passione di lei.
Biancospino per assicurare la felicità di coppia.
La quercia per il vigore di lui nell’atto dell’amore e per dar loro molti bambini.
Ippocastano per l’amore vero e duraturo."


dal Libro di Taliesin

Blodewedd è una delle dee celtiche la cui storia viene narrata nei Mabinogion gallesi, nel Quarto Ramo per la precisione.
Il suo nome significa ‘Viso di Fiori’ e si narra di come Ella venne creata in forma fisica e tangibile da nove fiori grazie alle arti magiche di Gwideon e Math (equivalente di Odino) per venir poi donata in sposa a LLew Llaw.
Dopo poco dalle nozze, Blodeuwedd si innamorò di un altro uomo da lei liberamente scelto ed ordì l’inganno necessario ad uccidere il suo legittimo consorte.
Il tradimento venne attuato. Llew Llaw, ferito a morte, scappò via trasformandosi in aquila e Blodeuwedd potè così vivere con l’amato.
Gwideon riuscì infine a trovare llew. Lo curò e lo aiutò nella vendetta.
Blodeuwedd venne tramutata in gufo, Gronw, il suo amante, venne ucciso.

Sono molti gli aspetti di questo mito da prendere in considerazione ed analizzare. Ad esempio, partendo dalle’aspetto di Blodeuwedd, potremmo notare come le sue dita vengano descritte come ‘più bianche della nona onda del mare’, a voler quasi sottintendere la sua natura di dea lunare.
Il nove infatti viene considerato il numero lunare per eccellenza.
La luna attrae le mareee e la nona onda viene considerata dai celti come la più alta.

Blodeuwedd è una delle rappresentazioni dell’aspetto di fanciulla della Dea Madre.
E’ la Vergine cacciatrice, la sposa di maggio.
Vergine da intendersi qui come creatura indipendente, non soggetta all’autorità maschile.
Ella è la Sposa di Maggio che sigilla la sovranità del Re, ma nel mito non lo fa di sua spontanea volontà: viene strappata, lei donna fatata, dalla sua dimensione, dalla magia di Math e poi forzata alle nozze.

Si ribella, tradisce e viene punita, come ad indicare simbolicamente con la sua triste storia, il passaggio da una società matrilineare,
nella quale la donna era libera, ad una società patrilineare nella quale la donna è soggetta all’autorità maschile e nella quale la ricerca di Blodeuwedd del vero amore, va punita.
Si puo’ però anche pensare a come il suo tradimento permetta al Consorte di evolversi, sperimentando Morte e Rinascita: ecco qui il suo aspetto di Iniziatrice, di Sovranità alla quale il Consorte PUO’ venir sacrificato.
Il suo venir tramutata in gufo, uccello notturno, sta dunque ad indicare una creatura emarginata, che vive celata nelle tenebre della notte, reietta che si è rifiutata di vivere secondo uno schema prestabilito da altri. I quali non hanno assolutamente tenuto in conto quella che avrebbe potuto essere la sua volontà.
L’esser trasformata in gufo è dunque la punizione.

In verità però, Blodeuwedd rappresenta un aspetto della Madre già connesso al gufo prima ancora che il mito stesso di Blodeuwedd nascesse. Ella è infatti da associarsi a dee vergini come Athena: dee della saggezza simboleggiate proprio dal gufo (civetta).
Originariamente quindi tale attributo era considerato nobile e positivo.

Blodeuwedd ci parla di realizzazione personale attraverso la conquista del proprio sé, della propria vera intima identità.
Ci fa ripiegare su noi stessi e sulle nostre proprie risorse:ci spinge a chiederci chi siamo realmente e a sviluppare le nostre doti.
Ci insegna che dobbiamo contare solo su noi stessi e sulle nostre capacità.
Requisiti questi assolutamente indispensabili per la crescita personale e la realizzazione. 


© Testo e ricerca di Argante - www.ynis-afallach-tuath.com


KALI


La città di Calcutta deve il suo nome al termine Kalighat (i gradini di Kalì) che servono ai fedeli per scendere al Gange.
Alla stessa stregua di Ishtar, spostandoci più a est, troviamo le storie della dea Kali che, insieme a Lilith, sono figure femminili odiate e maltrattate dalla tradizione. Kali non sarebbe altro che l’emanazione terribile o punitiva della dea Durga, di norma misericordiosa e dotata di poteri infiniti, giusta sposa del dio Shiva, che risiede sulla Montagna Sacra. In seguito nell’Induismo primevo filtrarono altre deità di differenti provenienze e, nella nuova gerarchia religiosa venutasi a creare, i potenti dei ancestrali erano scomodi. Visto che la tradizione popolare non voleva però rinunciarci, Kali e Shiva ricoprirono ruoli negativi, in particolare Kali divenne una figura peccaminosa e crudele, orribile e insensatamente distruttiva, mentre essa è - nella sua primaria immagine di Durga - creatrice e generosa, eterna sposa e controparte di Shiva, il quale ammette di essere un fantasma inanimato senza di lei. Durga quindi, solo nella sua emanazione di Kali, si trasforma in un guerriero forte e inarrestabile, molto più potente degli dei di sesso opposto, per loro stessa ammissione. Nella battaglia per ottenere la mano di Durga si evidenzia l’uso di armi avanzate e tecniche di combattimento stellare. Si racconta infatti che il demone (entità maligna) Sumbha si è innamorato di lei e manda il comandante del suo esercito, Sugriva, a porgerle un’offerta di matrimonio, invitandola ad arrendersi. Al suo rifiuto (la dea aveva fatto voto di sposare solo chi l’avesse sconfitta in battaglia), il demone si infuria e ordina a Sugriva di mettersi a capo dell’esercito, per portargli la dea sconfitta. Il demone-comandante la attacca ma lei, la terribile Kali, emette un suono che lo incenerisce, un "Hum" (Om) supersonico. Infuria una battaglia cosmica: i due eserciti si fronteggiano, le forze della Dea sono composte da molteplici forme di divinità femminili da lei emanate. Interviene il demone Munda, che lancia contro la dea migliaia di dischi, ma tutte le sue armi sono annientate in un istante. Un altro demone la sfida personalmente: Kali ritira il suo esercito e accetta il duello. Il comandante porta Kali fino in cielo, scatenando una guerra stellare all’ultimo sangue, al cui termine il demone muore trafitto dal dardo della dea. È chiaro che Kali non ha bisogno di eserciti al suo seguito e non ha nessun problema a dare l’ordine di ritirare tutte le truppe. Kali può prendere decisioni da sé, impartire ordini ed accettare le sfide di tutti i demoni, comandanti di orde nemiche, con la perizia di un generale valoroso. Alcuni tra gli dei più potenti ricorrono a lei per chiedere aiuto in battaglia: Shiva la invoca per combattere contro il demone Tripura e allo stesso modo si rivolgono a lei Brahma e Indra. La si definisce decisa e spietata, capace di combattere il nemico frontalmente senza mai arretrare, annientando tutto ciò che si trova sulla sua strada.


La Dea Kali

Le stelle sono oscurate,
Le nuvole coprono altre nuvole,
E' oscurità vibrante, risuonante;
Nel vento ruggente che soffia turbinante
Vi sono le anime di un milione di folli,
Appena fuggiti dalla casa-prigione,
Alberi divelti alle radici,
Spazzati via dalla strada.
Il mare si è unito alla mischia
E fa turbinare onde gigantesche
Per raggiungere il cielo nero come la pece.
Il luccichio di una tenue luce
Rivela da ogni parte
Migliaia e migliaia di ombre
Di morte, luride e nere.
Spargendo calamità e dolori,
Danzando folle di gioia,
Vieni, Madre, vieni!
Perché terrore è il Tuo nome,
La morte è nel Tuo respiro,
E la vibrazione di ogni Tuo passo
Distrugge un mondo per sempre.
Vieni, Madre, vieni!
La Dea della Distruzione.

Vivekananda - Madre Kālī (1898)

MAGIC GLASTONBURY

LOREENA MCKENNITT - THE MYSTIC'S DREAM

A clouded dream on an earthly night
Hangs upon the crescent moon
A voiceless song in an ageless light
Sings at the coming dawn
Birds in flight are calling there
Where the heart moves the stones
It's there that my heart is longing
All for the love of you

A painting hangs on an ivy wall
Nestled in the emerald moss
The eyes declare a truce of trust
Then it draws me far away
Where deep in the desert twilight
Sand melts in pools of the sky
Darkness lays her crimson cloak
Your lamps will call me home

And so it's there my homage's due
Clutched by the still of the night
Now I feel you move
And every breath is full
So it's there my homage's due
Clutched by the still of the night
Even the distance feels so near
All for the love of you

A clouded dream on an earthly night
Hangs upon the crescent moon
A voiceless song in an ageless light
Sings at the coming dawn
Birds in flight are calling there
Where the heart moves the stones
It's there that my heart is longing
All for the love of you




PROFUMO DELLA MADRE ANTAIA

Antaia regina, dea, madre dai molti nomi
degli déi immortali e degli uomini mortali,
che una volta andando in cerca nel dolore molto errando
interrompesti il digiuno nelle valli di Eleusi
e ti recasti nell'Ade dalla splendida persefoneia,
prendendo per guida il santo figlio di Disaule,
testimone delle sacre nozze del santo Zeus ctonio,
Eubulo, facendolo dio dell'umana necessità.
Ma, dea, regina molto pregata, ti supplico
di venire affabile al tuo sacro iniziato
(da Inni Orfici ed. Lorenzo Valla trad. Gabriella Ricciardelli)

PROFUMO DI IPTA

Ipta invoco, nutrice di Bacco, fanciulla che grida evoé,
celebratrice di misteri, che si compiace delle cerimonie del santo Sabo
e dei cori notturni di Iacco risonante nel fuoco.
Ascolta me che ti prego, madre ctonia, regina,
sia che tu in Frigia abiti il santo monte dell'Ida
sia che il Tmolo ti allieti, bel luogo di feste per i Lidi:
vieni alle celebrazioni rallegrandoti del volto sacro.
(da Inni Orfici ed. Lorenzo Valla, Trad. Gabriella Ricciardelli)


PROFUMO DI AURORA

Ascolta, dea, che porti ai mortali il Giorno che risplende,
Aurora dalla luce splendente, che rosseggi attraverso il cosmo,
messaggera del grande dio Titano luminoso,
che il cammino oscuro scintillante della notte
col tuo sorgere mandi sotto terra;
guida di opere, ministra di vita per i mortali;
di cui si allieta la stirpe degli uomini mortali; non c'è nessuno
che sfugga alla tua vista posta in alto,
quando scuoti il dolce sonno dalle palpebre,
ogni mortale gioisce, ogni rettile e tutte le razze
di quadrupedi e di volatili e dei numerosi animali marini:
infatti procuri ai mortali ogni vita attiva.
Ma, beata, santa, accresci la sacra luce agli iniziati.
(da Inni Orfici, ed Lorenzo Valla trad. Gabriella Ricciardelli)
Felice Yule a tutti\e!

PROFUMO DI TERRA

PROFUMO DI TERRA
tutti i semi tranne fave e aromi

Dea Terra, madre dei beati e degli uomini mortali,
che tutto nutri, tutto doni, che porti a maturazione, tutto distruggi,
che favorisci la vegetazione, porti frutti, ricca di belle stagioni,
sostegno del cosmo immortale, fanciulla variopinta,
che con le doglie del parto partorisci il frutto di molte specie,
demone che ti allieti delle erbe profumate ricche di fiori,
che ti rallegri della pioggia; intorno a te il cosmo elaborato degli astri
si volge per natura eterna e terribili correnti.
Ma, dea beata, fa' crescere frutti che danno molta gioia
con cuore benevolo nelle stagioni felici.
(da Inni Orfici ed Lorenzo Valla trad. Gabriella Ricciardelli)


..Il Natale si avvicina..
la Dea partorirà presto il Dio
 che ci riscalderà nuovamente..!
)O(

PROFUMO DELLA MORTE

Ascoltami, tu che reggi il timone di tutti i mortali
concedendo un tempo santo a tutti, da quanti ti tieni lontana;
perché il tuo sonno spezza la vita e la traccia del corpo,
quando sciogli i forti legami della natura
portando ai viventi il lungo sonno eterno,
essendo comune a tutti, ma ingiusta con alcuni,
quando nella rapidità della vita interrompi giovinezza al culmine;
poiché in te sola fra tutti si compie ciò che è stato deciso;
tu sola infatti, né da preghiere né da suppliche ti fai persuadere.
Ma, beata, ti chiedo di avvicinarti con tempi lunghi di vita,
supplicando con sacrifici e preghiere
che la vecchiaia sia un buon privilegio fra gli uomini.
(Da Inni Orfici, ed Lorenzo Valla, trad. Gabriella Ricciardelli)

PROFUMO DI ARTEMIDE

Ascoltami, o regina, figlia dai molti nomi di Zeus,
Titana, Bromia, di gran nome, arciera, augusta,
a tutti visibile, Dea che porti la fiaccola, Dictinna, protettrice del parto,
soccorritrice nelle doglie e non iniziata alle doglie,
sciogli le cinture, ami infondere delirio, cacciatrice, sciogli gli affanni,
dalla corsa veloce, saettatrice, amante della caccia, vaghi di notte,
celebrata, affabile, scioglitrice, d'aspetto maschile,
Orthia, acceleri i parti, demone che nutri i figli dei mortali,
selvaggia, ctonia, uccidi le fiere, dal destino felice,
che occupi i boschi dei monti, ferisci i cervi, augusta,
signora, di tutto sovrana, bel germoglio, sei sempre,
silvestre, protettrice dei cani, cidonia, dalle forme cangianti:
vieni, dea salvatrice, cara, con tutti gli iniziati
affabile, portando dalla terra bei frutti
e l'amabile Pace e Salute dalle belle chiome;
manda invece alle sommità dei monti malattie e dolori.
(da Inni Orfici ed. Lorenzo Valla trad. Gabriella Ricciardelli)

PROFUMO DI MELINOE

Invoco Melinoe, fanciulla ctonia, dal peplo color croco,
che presso la foce del Cogito l'augusta
Persefone generò ai sacri letti di Zeus Cronide,
alla quale l'ingannato Plutone si unì con scaltre astuzie,
e con l'ira di Persefone tirò fuori un'apparenza dal doppio corpo,
che rende folli i mortali con apparizioni brumose,
rivelando l'impronta della forma con visioni strane,
talora ben visibile, talora oscura, si accende di notte
in attacchi ostili nella notte tenebrosa.
Ma, dea, ti supplico, regina di sotterra,
di far uscire dall'anima la follia verso i confini della terra,
mostrando agli iniziati il sacro volto benevolo.
(da Inni Orfici ed. Lorenzo Valla Trad. Gabriella Ricciardelli)